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In pochi conoscono la storia di Suor Giulia, che intorno al 1600 scandalizzò tutta Napoli con la sua antica pratica della Carità Carnale. Vediamo insieme cosa faceva questa suora molto particolare, che vedeva l’intimità tra uomini e donne come uno strumento per avvicinarsi a Dio.
La storia di Giulia
Giulia, nata alla fine del ‘500, apparteneva ad una famiglia molto umile. Il padre era un bracciante mentre la madre, di origine turca, era a sua volta figlia di un bracciante.
Rimasta orfana all’età di dodici anni, divenne cameriera presso un mercante molisano. Dopo la morte di quest’ultimo la ragazza si trasferì a Napoli al cospetto della sorella del suo ex datore di lavoro. Secondo le dicerie, la ragazza rimase incontra di un servitore lì a Napoli, e vuoi l’età giovane, vuoi la sua forma mentis, ma Giulia decide di abbandonare il figlio alla ruota dell’ospedale della Ss. Annunziata e di prendere i voti.
Entro quindi nell’ordine delle francescane. Ma sin da subito, nonostante non fosse bellissima, attrasse le attenzioni e le speranze di fedeli ed uomini di culto.
Come nasce la Carità Carnale
Il primo a mostrare interesse fu Aniello Arcieri, confessore di coscienza. Secondo la “Istoria di Giulia Di Marco”, redatta da un ignoto inquisitore, i due assunsero ben presto atteggiamenti molto intimi, sotto le lenzuola. Il “bello” fu che suor Giulia non ci vedeva il peccato in ciò che faceva ma era convinto che loro unione sessuale la portasse in visioni mistiche. Durante le loro unioni il sacerdote avvertiva “un sollevamento di ment’a Dio particolare con un affettuoso ardore”.
Alla coppia ben presto si aggregò Giuseppe De Vicariis, un avvocato napoletano, carismatico e molto affascinante. La relazione tra i tre aveva lo scopo di unione mistica con Dio, sperando di portare i doni soprannaturali della santa ai suoi discepoli.
A suo tempo De Vicariis scrisse: “Assicurato da suor Giulia che quelli atti carnali non erano peccati, anzi nuove virtù infuse dallo Spirito Santo, levai nell’anima mia ogni timore e continuai sempre poi in detti atti lascivi …e proferivo concetti spirituali”.
La sua fama di Santa
Suor Giulia fu ben presto definita “La Santa di Napoli” in quanto dichiarava di avere delle visioni e degli eventi mistici. Il tutto attraverso il sesso.
Stando al trio della “bella vita a letto” non esisteva modo migliore di arrivare a Dio se non attraverso il bene carnale. Lentamente quindi tutta Napoli si adeguò a questa ideologia, per la quale attraverso le parti intime, la “santa” riuscisse ad avvicinare a Dio. Giulia iniziò quindi a concedersi anche ai suoi fedeli: mostrandosi a gambe aperte si offriva alla vista della Yoni considerata entita’ divina. In tal modo i fedeli potevano, al pari di antichi riti tantrici darle un bacio sui genitali. Il popolo maschile si inginocchiava, “alle parte impudiche di Suor Giulia baciandole e chiamandole porte aperte del Paradiso, e dicendo che li cieli s’aprivano per vederle”.
La prima inquisizione contro Giulia
La cosa non passò inosservata alla Chiesa, che dal suo canto si trovava in un periodo molto particolare per via delle Inquisizione e della stregoneria.
Fu così che Arcieri fu convocato a Roma dove arrampicandosi sugli specchi trovò una giustificazione alla sua condotta. Tuttavia fu privato della confessione e rinchiuso nel convento della Maddalena di Roma. Al contempo la suora fu rinchiusa anche lei nel monastero napoletano di S. Antonio di Padova. A mettere lo zampino contro Giulia fu anche l’integerrima Suor Orsola Benincasa.
A nulla servì allontanare i tre. Giulia tra i suoi fedeli aveva potenti conoscenze e nonostante i numerosi allontanamenti da Napoli, riuscì ancora una volta a farci ritorno, consentendo la scarcerazione di De Vicariis e il ritorno di Arciero.
La condanna definitiva
Ormai la situazione stava sfuggendo di mano: per cui il nunzio apostolico intervenne direttamente. Fece trasferire l’avvocato a Roma. Dopodiché chiede all’Inquisizione romana di riportare in cella Arciero. Infine arrestò suora Giulia e la mandò sotto buona scorta e a marce forzate a Roma.
Fu così che i tre definiti eretici schiavi di orge furono condannati dal Santo Uffizio che solo sotto tortura ricevette il riconoscimento della “Carità Carnale”. L’era del sesso senza freni divenne così per Napoli solo un lontano ricordo.