La canzone popolare italiana vanta nomi di un certo calibro. Nomi che tuttavia spesso vengono trascurati o dimenticati. Immancabile diventa dunque un riferimento ad un grandi che ha fatto la storia della musica partenopea tra la fine dell’800 e l’inizio del 900. Stiamo parlando di: Giuseppe Capaldo.
Il poeta/artista era in grado di esaltare lo spirito della sua gente in poche semplici parole, come solo grandi parolieri sanno fare. Lui era il poeta del popolo: gli bastava la semplice licenza elementare per fare grande i sentimenti che provava. Ebbe una vita breve, ma abbastanza lunga da collezionare opere che ancora oggi fanno cantare i napoletani.
Giuseppe Capaldo nacque nel 1874, da Raffaele e Filomena Giannelli, piccoli ristoratori della zona del Porto. Il suo amore per le parole e per la poesia vennero fuori subito. Già a 18 anni si ritrova a comporre e scive Vicenzella, la sua prima canzone. Una canzone che gli permette di vincere il concorso per la festa della Madonna del Carmine. Purtroppo le sue esigenze erano altre: aveva bisogno di lavorare. Dapprima fu imbianchino, decorando fondali per i teatrini delle guarattelle, e poi cameriere al Caffè Turco, dove si intrattenevano ospiti con la musica live. Lavorava e faceva di tutto pur vivere ma senza mai dimenticare il suo amore per la poesia.
Il 1906 fu per lui l’anno delle soddisfazioni. La prima la ebbe grazie a Eduardo Galgani. Fu lui a dargli la base musicale per Cinematografì Cinematografà, una denuncia contro danni provocati dal mondo del cinema sugli artisti dei cafè chantant. La seconda fu tutta dal pubblico che lo applaudì spesso per una canzone maliziosa e fresca. Servendosi della musica Salvatore Gambardella, infatti, era nata Comme facette mammeta. Dopodiché propose al pubblico Ll’arte d’ ‘o sole, altro capolavoro e altra dedica al suo amato popolo.
Il capolavoro per antonomasia: ‘Na Tazza ‘e Cafè
Giuseppe Capaldo non tardò a farsi conoscere e a dare l’impressione del suo talento immane. Tuttavia le sua qualità gli servirono più per fama che per soldi. Per tale ragione continuò a lavorare presso il Caffè Turco fino al 1911. Nel frattempo però essendosi avvicinato alla musica crescevano le sue abilità con le note, che facilmente tendeva ad affiancare ai suoi versi. Non a caso su circa 200, furono poi 75 le canzoni di cui firmò musiche e testi. ‘A marina ‘e Tripoli è il classico esempio di lavoro effettuato totalmente in autonomia, da solo. Viceversa ‘A fussetella, invece, la scrisse con Enrico Cannio e Balcone ‘nchiuso con Vittorio Fassone.
E a proposito di Fassone, fu collaborando con lui che venne fuori un altro grande capolavoro, ‘A tazza ‘e cafè. Il poeta concluse il suo lavoro nel 1918 dopo aver preso ispirazione dalla bella e scontrosa Brigida, cassiera del Caffè Portorico di via Guglielmo Sanfelice. Si conoscevano perché ex colleghi, e ma nel corso di una rimpatriata una semplice chiacchierata gli diede l’input per mettere mano ad un altro suo lavoro. Chiese tuttavia a Fassone di musicare le sue parole, e così venne fuori un ritmo tipo di una marcetta. A lanciare l’opera fu Elvira Donnarumma e mai abbandonata da artisti del calibro di Enrico Caruso e Beniamino Gigli.
Il poeta del popolo
Giuseppe Capaldo si dedicò come ultimi capolavori a ‘A tazza ‘e cafè” e a ‘E llampadine’. Dopodiché si spense il 25 agosto del 1919 a Miano, in quella piccola casa in cui abitava con la moglie. Libero Bovio decise di onorario con un tributo al Teatro Bellini, la sera dopo.
I critici letterari lo definiscono un poeta “istintivo popolaresco”, che tastava con mano la realtà dell’epoca e conosceva bene i sentimenti, positivi e non, della sua gente. In particolare, più di altri colleghi, aveva il dono di chiudere nei suoi versi le parole giuste da dedicare ai napoletani e al loro carattere. Riusciva cioè in modo spontaneo a far coabitare la “gentilezza di immaginativa” con “una sorprendente facoltà di ironizzare”.