Il caffè a Napoli è uno stile di vita. Ma qual è la storia di questa usanza partenopea? In fondo la bevanda non nasce in Italia, ma si diffonde nella città campana, grazie a Maria Carolina D’Asburgo
Il rito del caffè
A Napoli il caffè è un rito. Va bevuto nella tazzulella di caffè, di ceramica bianca, molto spessa e che non abbia decori. Si beve di prima mattina, dopo pranzo e al bar in compagnia. Se te lo offrono, non ti puoi rifiutare.
Maria Carolina D’Asburgo, figlia di Maria Teresa, era andata in moglie al re Ferdinando IV di Borbone nel 1768. Lentamente dunque gli usi viennesi furono trasportati fino a Napoli. Tuttavia a causa del suo colore nero inizialmente qualcuno pensava portasse male, per cui la diffusione fu molto lenta.
Stando ai racconti, intorno al 1771, nella Reggia di Caserta, si tenne un ballo in cui servirono il caffè dai “baristi” del tempo. Fu così che nacque il primo Caffè del Regno di Napoli.
Caffè e cornetto insieme
La Regina Maria Carolina insieme al caffè portò a Napoli il kipferl (il cornetto): questo perché sua sorella Maria Antonietta di Francia le aveva insegnato di mangiare e bere i due prodotti insieme. Napoli imparò subito l’arte del caffè: iniziò dunque a diventare il numero uno nella preparazione del caffè.
I partenopei impararono a tostare i chicchi e a macinarli per poter creare una bevanda dal gusto ricco. E infatti dicono che il caffè partenopeo sia preparato “al punto giusto”. La tostatura infatti, che richiede qualche giorno di riposo, aiuta a dare maggiore sapore agli aromi.
Lentamente da corte passò nelle case partenopee. Nacque così la cocumella (la caffettiera napoletana creata dal francese Morize nel 1819). In tal modo la preparazione della bevanda veniva alternata al metodo di infusione usato a Venezia. Il nuovo metodo prevedeva infatti un servizio sistemico a doppio filtro.
La macchina dell’espresso
Nel XX secolo, nacque poi la “macchina per espresso” la cui maneggevolezza era molto artefatta. Ma anche in questo caso, i napoletani divennero artisti abili: e nacque così l’espresso napoletano.
Lento ma progressivo fu lo sviluppo dei primi bar nel 1800, soprattutto lungo via Toledo. Basti pensare che nel 1860 aprì il Gran Caffè, il più bello ed importante di tutti, detto anche “Caffè delle Sette Porte”.
La leggenda della bevanda nera
Secondo la leggenda, nel 1614, Della Valle lasciò la Città Eterna e si trasferì a Napoli. Dopodiché decise di trasferirsi in Terra Santa, dove innamoratosi di una donna, ci visse per dodici anni. Nel frattempo, ricordando Napoli, rimase in contatto via lettera con amici napoletani. In una delle sue lettere, il musicologo descrisse “un liquido profumato che veniva fuori da bricchi posti sul fuoco, e versato in piccole scodelle di porcellana, continuamente svuotate (e riempite) durante le conversazioni che seguivano il pasto”. Tornato a Napoli, portò con sé quella buona bevanda, che piacque praticamente a tutti.
Stando ad un’altra leggenda il caffè giunse in Campania a partire dal 1450, grazie al dominio degli Aragonesi. Alfonso D’Aragona regnava allora sull’Aragona, sulla Catalogna, ma anche su Valencia, Maiorca, la Sardegna e la Sicilia. Spesso le navi dei regni viaggiavano di posto in posto fino a d attraccare nei porti del Levante imparando ad apprezzare i tipici prodotti orientali. Tra questi ovviamente il caffè.
Il caffè per Eduardo de Filippo
Amato ormai a 360 gradi, anche Eduardo De Filippo non poteva non apprezzare questa bevanda. E infatti diceva così:
“Io, per esempio, a tutto rinuncerei tranne a questa tazzina di caffè, presa tranquillamente qua, fuori al balcone, dopo quell’oretta di sonno che uno si è fatta dopo mangiato. E me la devo fare io stesso, con mani”.