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Quando parliamo di arte barocca, allora non può mancare il riferimento al pittore napoletano Francesco Solimena. Anche detto nel settore l’Abate Ciccio, rappresenta una fetta importante della storia artistica della città.
La vita e le prime collaborazioni
Francesco nasce a Canale di Serino nel 1657. La sua è un’arte innata ereditata dal padre Angelo, pittore di stampo naturalistico. La sua carriera inizia proprio nella bottega paterna, che poi lascia quando decide di spostarsi nella grande città. A Napoli inizia ad ammirare la pittura di Lanfranco, di Luca Giordano e di Mattia Preti, da cui trova anche la vena ispirante.
A ridosso dell 1675 e fino al 1680, ritrova lo spirito collaborativo del padre insieme al quale realizza una vasta gamma di opere. Da citare tra queste c’è il Paradiso nel duomo di Nocera e la Visione di S. Cirillo d’Alessandria nella chiesa di San Domenico a Sofra.
L’ispirazione a Luca Giordano
Intorno al 1680 gli vengono commissionati gli affreschi di San Giorgio a Salerno e le tele di San Nicola alla Carità a Napoli. Si tratta di immagini raffiguranti le Virtù, che oggi sono custodite nella sacrestia di San Paolo Maggiore. Parliamo di opere di stampo barocco romano che non dimenticano l’influenza dell’arte partenopea del tempo.
In quell’anno tuttavia, l’artista osserva molto i dipinti di Luca Giordano (formatosi a sua volta da José de Ribera) e inizia a sperimentare lo stesso stile cromatico. Uno stile che nasceva da esperienze pittoriche variegate e che aveva dal suo canto, fato il via alla cosiddetta pittura barocca-napoletana. Per questo motivo Francesco Solimena viene considerato dalla critica come seguace ed erede di Giordano. Lo stile è stato infatti poi insegnato e tramandato ai suoi allievi Corrado Giaquinto, Sebastiano Conca e Nicola Maria Rossi.
La ricerca di uno stile tutto suo
Nonostante la sua fonte di ispirazione rimanesse il maestro Giordano, Solimena si trova spesso a desiderare di creare uno stile tutto suo. Il suo obiettivo infatti era quello di andare alla ricerca di un canale che fosse in grado di elevare la forma dei suoi dipinti.
Più nello specifico Francesco cercava di ricreare il giusto equilibrio compositivo. E diciamo pure che riesce a dare il nuovo senso tanto atteso a partire dall’affresco La cacciata di Eliodoro dal tempio, custodito a Napoli nella chiesa del Gesù Nuovo. Di conseguenza la sua nuova impronta stilistica viene in auge anche negli affreschi successivi, come quelli della cappella di San Filippo Neri, della chiesa dei Gerolamini (a Napoli).
Il ritorno al barocco e le composizioni del sacro e profano
Nel 1690 Solimena abbandona la sua nuova firma per riaggrapparsi di nuovo al vigore e all’espressività della cultura barocca. Prende per questo appunto dallo stile di Mattia Preti che intanto fu fautore a Napoli, all’inizio del Settecento, di un nuovo stile artistico. Andava infatti affermandosi intorno al 700 il rococò, come proseguo del Barocco ormai giunto all’esaurimento.
I primi anni di questo secolo iniziano ad essere caratterizzati da composizioni mai avute fino ad ora: si dipingono sempre più spesso i particolari soggetti sacri e profani.
Intorno ap 1730, circa, Solimena torna ragazzino: le sue opere d’arte si riallacciano nuovamente al classico stile barocco, in cui non poteva mancare “intensità visiva”.
La fase ultima della carriera artistica si Francesco Solimena
L’ultima fase artistica del pittore è peculiare proprio perché, controcorrente, decide di dipingere in stile retrò (barocco) anziché invece è seguire il progresso delle correnti pittoriche del tempo.
Gli vengono intanto affidati lavori importanti. Dipinge ad esempio per i Borbone. Alcuni titoli sono: Carlo alla battaglia di Gaeta del 1734, Allegoria delle parti del mondo del 1738, entrambi a Palazzo Reale di Napoli. Sono questi alcuni dei suoi ultimi affreschi: Francesco muore a Barra (prov. Di Napoli) nel 1747.
La celebrazione di Solimena nelle strutture napoletane
Solimena è stato una guida, un punto di riferimento anche per l’architettura napoletana, prima che si sviluppasse la grande abilità di Luigi Vanvitelli e di Ferdinando Fuga. Architetto egli stesso, prende sotto la sua ala protettrice Sanfelice, Nauclerio e Vaccaro.
Coloro che hanno preso parte alla scuola del Solimena, pur essendo dotati di sufficiente abilità pittorica, seguivano passo dopo passo gli schemi compositivi e decorativi che l’artista aveva fissati. Napoli non potrà mai dimenticare uno dei maggiori esponenti dell’arte locale.