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Tra i sovrani che si fanno maggiormente ricordare a Napoli, sicuramente non manca Carlo di Borbone. Salito al trono a 18 anni da poco compiuti, il figlio di Filippo V di Spagna, conquistò nel 1734 il capoluogo campano. Il suo amore per la città lo spinse a sceglierla come capitale del suo stato.
Essendo inoltre figlio di Elisabetta Farnese ereditò di diritto anche il titolo di duca di Parma e Piacenza. Diventando padrone della Collezione Farnese, il re decise di conservarla Napoli, che risulta legittima donataria.
La storia del suo nome
Nonostante il suo nome fosse Carlo III in Sicilia e Carlo VII a Napoli, il sovrano preferì essere per tutti semplicemente “Carlo”.
Il suo intento era quello di apparire come il re di uno stato indipendente, che non dovesse mantenere il ricordo di altri sovrani.
La sua tenera età, non abbastanza matura per regnare, lo portò nei primi anni ad affidarsi al Governo e ai consigli di sua madre, una donna molto forte, istruita, saggia (in fondo la sua personalità era stata sempre molto forte, tanto da inficiare anche sul modo di regnare del marito).
Un sovrano illuminato
Grazie all’approccio che Carlo aveva con i suoi sudditi, si meritò il nomignolo di “sovrano illuminato”. Con questo epiteto si voleva indicare un monarca che ci teneva alla cultura. E infatti il Borbone si circondava sempre di intellettuali, artisti e uomini politici che fossero fermamente convinti della forma mentis dell’Illuminismo che nel ‘700.
Del resto a Napoli era stati largamente anticipato i tipici temi dell’Illuminismo. In città infatti, emergevano i pensieri di grandi cultori come Giambattista Vico e a Pietro Giannone, morti rispettivamente nel 1744 e nel 1748. In pochi sanno che il capoluogo campano, insieme a Parigi abbia largamente contribuito allo sviluppo della corrente di pensiero. Furono molti all’epoca gli intellettuali napoletani a portare avanti l’amore per i lumi, per la ragione. Tra questi ricordiamo, Antonio Genovesi (fondatore della prima cattedra al mondo di Economia Politica), Ferdinando Galiani, Gaetano Filangieri, Antonio Broggia. Ma anche, Francescantonio Grimaldi, Francesco Mario Pagano e altri.
Ricordiamo inoltre che il re Carlo ebbe anche buoni rapporti con il clero. Fu lui l’artefice del Concordato con la Chiesa Cattolica del 1741, attraverso cui si stabiliva la supremazia dello stato. Grazie a questa scansione di potere, la politica finanziaria trasse beneficio, portando il regno ad un periodo florido sul piano economico.
I lavori artistici di Carlo di Borbone
Cosa Napoli deve maggiormente a Carlo di Borbone? Sicuramente il contributo artistico, architettonico e archeologico che ha dato alla città. Fu lui a volere l’apertura degli scavi di Ercolano, Pompei e Stabia. Promosse la realizzazione del Real Teatro di San Carlo, in sostituzione del San Bartolomeo.
Più importante fu la realizzazione della Reggia di Capodimonte e della imponente Reggia di Caserta, affidata a Luigi Vanvitelli con lo scopo di averne una migliore di quella di Versailles,
Senza dimenticare la fondazione dell’Accademia di Belle Arti. Fu proprio per queste numerose risorse che Napoli poté diventare una tra le più grandi capitali europee, nonché la più importante città in Italia. La sua trasformazione fu talmente grandiosa che divenne meta del Gran Tour e che fece innamorare letterati della portata di Goethe e Stendhal, giusto per citarne alcuni.
Un naturale amore per Napoli
Carlo amava Napoli, amava i suoi sudditi e non mancava mai di arricchire il valore della città. E nei tanti modi di dimostrare il suo amore, c’era quello di avvicinarsi al suo popolo, al fine di imparare la Lingua Napoletana per diventare egli stesso napoletano, così da tastare con mani la vita della sua gente.
Nel 1759 tuttavia, la Spagna rimase senza sovrano. Così fu proprio Carlo a dover salire sul trono iberico, suo malgrado. Non a caso stando ad una leggenda (che quasi probabilmente ha un fondo di verità) al momento di andare via da Napoli, si tolse dal dito un anello che portava sempre, trovato a Pompei, poiché appartenente ai napoletani, e non suo.