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Se qualcuno non sa cosa sia, La Cantata dei Pastori è emblema del Natale a Napoli. Si tratta di una manifestazione a tema sacro, nata molti secoli fa che viene rappresentata nei teatri cittadini sia la notte della vigilia che la notte dell’Epifania.
Origini e storia sella cantata dei pastori
Quest’usanza ha radici secolari. Sicuramente nasce in epoca barocca, quando i miti, i fantasia e gli sfarzi di certe storie erano un must nell’immaginario comune. All’epoca fu scritta dall’abate Andrea Petrucci che nel 1698 pubblicò l’opera sotto il nome di Ruggiero Casimiro Ugone. Il titolo era Il Vero Lume tra l’Ombre, ossia La Spelonca Arricchita per la Nascita del Verbo Umanato.
Per cercare di superare le situazioni precarie del presente e per esorcizzare le sorti future, i personaggi della Cantata si iniziano a confondere e intrecciarsi con quelle della Divina Famiglia, che cerca di raggiungere Betlemme. Il loro ruolo è quello di raccontare la miseria, l’arte di arrangiarsi. Non a caso rappresentano bottegai, guantai, vinai, pescatori… tutti che attendono la nascita di Gesù.
Riscontrò un ampio successo quell’opera che oltre ad avere uno stampo religioso veniva influenzata in modo positivo dal contesto storico e da quello sociale del tempo. Uno schiaffo alla consuetudine di vedere i testi scritti dagli ecclesiastici appartenenti alla Compagnia di Gesù, che con un linguaggio dotto e arcaico permettevano solo a pochi di comprendere il significato. Ecco che la Cantata dunque diventava testo per tutti.
Il ruolo di Razzullo e Sarchiapone nella storia
La Cantata si apre con l’arrivo di Razzullo, lo scrivano che giunge a Betlemme per il censimento. Viene subito acclamato dal popolo, che è talmente entusiasta da prestare attenzione a lui sì e all’immagine sacra no.
Nel corso del tempo (più precisamente verso il 1700) nacqua anche la figura di Sarchiapone, un personaggio tipico di Napoli, gobbo, cattivo e folle.
Più passavano gli anni e più l’originalità della prima cantata mutava, in favore di nuovi personaggi e di nuovi contesti. Forse fu anche per questo che nel 1889, le autorità decisero di interrompere la rappresentazione in quanto mancava la sacralità ma si era tramutata in volgarità. Benedetto Croce a tal proposito parla di “opera perduta che non andrà mai più in scena”.
L’immortalità della Cantata
Pare ovvio che pur dandola per morta, la Cantata è più che viva ed è giunta sino ai giorni nostri. Anzi a Napoli la si acclama ancora oggi con molto ardore. Oggi infatti sono Peppe Barra e Roberto De Simone, con la Nuova Compagnia di Canto Popolare, ad interpretarla per far rivivere ai partenopei una delle storie più incredibili della loro storia.
Il resto ha subito delle modifiche, così che l’opera potesse apparire accessibile e potesse esprimere anche il reale valore dei nostri tempi e della nostra società. E così verte sempre tutto in capo alla storia di Maria e Giuseppe, sotto l’ala protettiva dell’Angelo Gabriele, che arrivano a Betlemme per il Censimento. Nel corso del cammino il diavolo proverà a metterli in difficoltà ma nulla potrà ostacolare la nascita del Bambino Gesù.
Scena della tempesta
La vicenda dei personaggi sacri si interfaccia a quella dei personaggi profani quali cioè: Sarchiapone, il cacciatore Cidonio, il pescatore Ruscellio, i pastori Benino e Armenzio e ovviamente Razzullo. Il tutto si completa con l’adorazione del Bambino presso la Grotta, che sta a rappresentare il bisogno di salvezza e la speranza che non muore.
Per la cultura partenopea, la Cantata dei Pastori è un’opera il cui valore ha un simbolo senza precedenti. Solo vivendo e guardando la rappresentazione si può sentire la sua potenza catartica. Al cospetto Sacra Rappresentazione andrà a compimento una sorta di rito dal sapore ancestrale, dove un solo concetto diventa ovvio. Solo con l’esistenza del passato si può avere un presente e sperare nel futuro.