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Napoli non dimentica mai i suoi figli, e da inguaribile città romantica qual è il suo cuore pulsante sarà sempre rappresentato da un artista perso troppo presto, Pino Daniele. Il cantante non è solo un simbolo musicale della città, ma è un uomo che viaggia nel tempo, che lascia sognare con le sue canzoni. Il suo obiettivo? Abbattere i pregiudizi sulla sua amata città, obiettivo che ancora oggi persegue anche post mortem.
Il modo di concepire la musica per Pino Daniele
Perderci nei meandri dell’infanzia e dell’adolescenza di Pino Daniele sarebbe cosa inutile. La musica scorreva nelle sue vene, sin da quando era piccolo, sin da quando ha preso una chitarra ed ha imparato da solo a suonarla, dopo essersi innamorato del jazz.
Tutta la sua carriera ruota intorno al rapporto stretto che viveva con Napoli. A dimostrazione di quanto la sua canzone, scritta a soli 18 anni, che ancora oggi riecheggia nella mente dei partenopei e che si presenta come un inno alla città. Stiamo parlando di Napule è.
Il suo era un sentimento a dir poco combattuto, un amore immenso misto ad un desiderio di crescita, di progresso di ribellione. Fu proprio lui a dire in una intervista:
“Io non sono figlio di Napoli… io mi sento un figlio del Sud, un garibaldino. Da quando ho l’età della ragione ad oggi non è cambiato niente, anzi la situazione è peggiorata. Ma non voglio pensare che non ci sia più la speranza. Una speranza che purtroppo si riaccende soltanto quando salta fuori qualcuno: una volta è spuntato Maradona, una volta Troisi, una volta Pino Daniele… Purtroppo è un popolo che ha bisogno sempre di un re. O di un Masaniello“
Pino “Re di Napoli”
E proprio sulla scorta delle sue parole, possiamo quasi definirlo come quel re di Napoli acclamato dalla sua gente, e ancora oggi ricordato. Vogliamo fare un elenco dei suoi capolavori? Sarebbe riduttivo e fine a se stesso. Perché la fama di Pino non risiede soltanto in quelle canzoni, in quelle poesie, in quella musica che faceva innamorare. No, la sua fama sta nell’amore per la patria, nella voglia di dare valore a Napoli in un modo tutto suo, ovvero inventando un nuovo genere musicale. La tarantella si fonde con il blues per dare vita a delle note che nessun altro oggi sarebbe in grado di inventare.
Le sue erano origini veraci. Verace era quel bambino che sul porto di Napoli rimase incantato dalla dolcezza del jazz e del blues suonati dagli americani. Verace era quel ragazzo che non volle diventare uno di loro, ma che invece ha sempre ricordato sino alla fine da dove veniva, chi fosse e cosa avesse fatto.
Pino ha rubato a quelle note ciò che serviva per dare un’impronta personale alla tradizione melodica napoletana creando “il tarumbò” un mix tra la tarantella e il blues.
La sua morte spiazza tutti
La morte di Pino Daniele nel 2015 ha lasciato un segno indelebile nel cuore partenopeo. Un cuore che a lui è costato la vita: quella cardiopatia genetica lo aveva costretto a quattro interventi di angioplastica.
Eppure la morte non gli faceva paura, per il suo pubblico era sempre lui, felice di aver vissuto e felice di morire, con la chitarra in mano. Eppure per Napoli lui vive ancora.
La ricerca dell’amore
Quando parliamo dell’album Terra Mia facciamo riferimento a quello che per il cantante era il concetto dell’amore. In fase di registrazione del disco infatti, Pino si innamora della corista Dorina Giangrande, che divenne sua moglie e madre di Alessandro e Cristina.
Un amore destinato a finire negli anni ’90, quando, a casa di Massimo Troisi il cantante incontra Fabiola Sciabbarasi. Un colpo di fulmine, un amore senza riserve. Pino si separa e sposa Fabiola da cui ha Sara, Sofia e Francesco.
Dopo anni di matrimonio Pino si innamora di Amanda Bonini. Una seconda separazione che l’opinione pubblica critica ma che il musicista non prende in considerazione. Da inguaribile romantico napoletano, insegue il sogno dell’amore eterno. Per questo in una intervista si definì un po’ come Enrico VIII, per difendere la sua vita privata e il suo credere fermamente nell’amore.