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Quando si parla di sport italiano, sono tanti i nomi da fare che hanno segnato il corso della storia. E potrebbe mai mancare il riferimento a Carmine e Giuseppe Abbagnale? Due fratelli, due eroi dello sport. Un solo sangue ad unirli, un cognome che ha fatto la differenza. Loro, che nascevano nell’umiltà di un paese campano, hanno insegnato a molti cosa possa essere la ricchezza d’animo. Gli Abbagnale, alias i Fratelloni d’Italia, hanno appassionato la tifoseria del loro tempo grazie a delle semplici qualità, insite nella loro educazione di famiglia: forza, umiltà, determinazione.
Una coppia modello da seguire
Sono stati un modello da seguire, gli Abbagnale. Carmine faceva da prodiere, Giuseppe il capovoga: con il timoniere Giuseppe Di Capua, la squadra era compatta, era unita. Si lottava insieme, si cadeva insieme, e si vinceva insieme. Non hanno mai saputo cosa fosse l’invidia e cosa il gioco sporco: loro vivevano di sogni, sogni che con le proprie forze erano divenuti realtà.
E poi arriva la consapevolezza che la loro sia una squadra vincente. Cominciano a non avere paura di nessuno, non hanno nemmeno paura di crescere. Il loro obiettivo? Il risultato finale, da conquistare con orgoglio: e a dimostrargli i sette titoli mondiali vinti. Vinti e sudati grazie al duro lavoro.
I fratelli Abbagnale vogano insieme per ben tredici anni. E a chi sembrano pochi, in realtà nel canottaggio sono molti. Anni di lavoro sincronizzato, di “sopportazione reciproca” sempre col sorriso, sempre con rispetto. Carmine e Giuseppe restano insieme nonostante tutto, nonostante le avversità. Non danno mai nulla di scontato, viene tutto spontaneo, tutto naturale.
La prima vittoria olimpica per i fratelli Abbagnale
Questo loro spirito simbiotico era innato. Sin dalla prima vittoria insieme o anche prima: era l’anno 1984, quando i due portano a caso la prima vittoria olimpica parallelamente alla storia di Vincenzino Maenza. Le coincidenze dello sport, mai casuali. E poi ancora, quattro anni dopo una seconda vittoria, seguita dalla delusione del mancato trofeo nel 1992. Allora furono infatti battuti dai fratelli Searle per una manciata di metri: avversari storici, ma sempre rispettati.
I due fratelli raccontano gli anni successivi l’aneddoto della telefonata di papà Vincenzo il giorno prima della vittoria a Seul: “Va bene sognare, ragazzi. Ma ora tornate a casa che c’è da raccogliere le patate…”.
Perché Carmine e Giuseppe prima di essere campioni sono uomini dei campi, uomini educati per pensare al benessere della famiglia. Un’educazione questa che non hanno mai abbandonato.
L’orgoglio di papà Vincenzo
Gli Abbagnale, nativi di una frazione di Pompei non torneranno mai più a raccogliere le patate. Ma resteranno ugualmente l’orgoglio di Papà Vincenzo, che in loro credeva e che di loro sapeva non si sarebbero mai montati la testa.
Più che meritato dunque il nomignolo di ‘Fratelloni d’Italia’, dato ai ragazzi da Giampiero Galeazzi, che fu a sua volta definito il ‘mentore mediatico’ della coppia napoletana.
Una qualità tramandata ai discendenti?
La loro educazione e la loro qualità innata si tramandano ai discendenti. Tipico esempio è Vincenzo Abbagnale Junior, classe 1993, figlio di Giuseppe. Porta il nome del nonno, non per dovere ma per onore. Onore a quel padre che in Giuseppe ha creduto. E Giuseppe a sua volta crede in Vincenzo Jr.
Vincenzo junior ha già vinto in quella che oggi non viene più annoverata tra le discipline olimpiche. Eppure porta a casa la vittoria in Corea del Sud, venticinque anni dopo l’oro del padre e dello zio.
L’Italia resta quindi nella storia per lo sport della Canoa, verrà sempre ricordata come vincente e questo solo grazie ad Abbagnale & co, e al loro saper insegnare il valore della vittoria onesta.
Dunque, non poteva fare altro che sentirsi onorata la regione Campania per aver “partorito” due eroi dello sport, che eroi non si sentivano ma che hanno mantenuto a testa alta il nome della famiglia Abbagnale.