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Con la morte di Maradona, il 25 novembre scorso, Napoli perde un altro figlio, l’ultimo dei tre miti napoletani, che hanno aiutato a rendere grande l’immagine della città nel mondo. Maradona, Massimo Troisi e Pino Daniele, detti la “trinità napoletana”, hanno rappresentato e rappresenteranno per sempre una città che è stata capace di rialzarsi, di riscattarsi e di allontanarsi dai cliché che l’hanno accompagnata nel tempo.
Figli di Napoli
Maradona, Massimo Troisi e Pino Daniele hanno trovato terreno fertile per il proprio talento e la propria creatività in un periodo in cui la città di Napoli stava attraversando uno dei momenti forse più bui. Tra gli anni ’70 e ’80 a Napoli regnava il caos: malgoverno e disoccupazione, insieme all’incubo del colera nel 1973 e del terremoto dell’Irpinia nel 1980 avevano portato la città partenopea a toccare il fondo. Inoltre, in quegli anni la Nuova Camorra Organizzata, fondata da Raffaele Cutolo, prendeva piede ed attirava sempre più giovani nella sua cerchia.
Proprio in questi anni drammatici, la diffusione di una rinascita in tutte le forme d’arte e nello sport fece sperare in un futuro migliore e l’affermazione di quelli che poi sarebbero stati considerati veri e propri eroi, ha messo in mostra la dicotomia che da sempre rappresenta la città di Napoli. Luce e buio convivono e si alternano, intrecciandosi in una rete infinita di contraddizioni e bellezze che fanno di Napoli una città speciale, così come lo erano i protagonisti principali di quegli anni.
Amici che si erano incrociati nel loro cammino di crescita e affermazione personale, amici che condividevano simili personalità, carismatici, generosi e amanti del vero significato di “napoletanità”.
Ognuno nel proprio campo, Maradona, Troisi e Daniele sono stati rappresentanti di una napoletanità diversa, lontana dai soliti stereotipi, priva di quelle immagini “da cartolina”, come la pizza, il mandolino e l’eccessiva teatralità.
Le loro vite e carriere hanno ruotato, sin dall’inizio, intorno al rapporto che avevano con la città e con l’essere napoletano. Non hanno mai rappresentato solo calcio, teatro, cinema e musica, ma tutti e tre erano molto più delle loro carriere: essi erano tradizione e cultura, passato, presente e futuro di Napoli, volontà di riscatto e crescita.
Maradona
Luce e buio convivevano non soltanto nella città partenopea, ma anche nell’animo di questi tre “figli”. Maradona aveva dentro di sé un intreccio di contraddizioni, era luce, forza di vivere e di spingersi fino al limite, ma anche ombra e demoni che lottavano per avere il sopravvento. Ricordato da tutti come generoso e disponibile, carismatico e inimitabile, Diego Armando Maradona fece il suo ingresso nel Napoli il 5 luglio 1984. Da quel momento, per ogni napoletano, egli non fu più un semplice calciatore, una semplice icona o divinità del calcio, ma un ragazzo di Napoli, un fratello, un amico, un eroe che era venuto da lontano, un figlio che era ritornato finalmente a casa.
Senza mai dimenticare da dove fosse partito, Maradona giocava ogni singola partita con impegno e passione, credendoci, mettendoci il cuore per fare del suo meglio e non deludere nessuno. Giocare bene significava rendere onore alle sue origini e ringraziare la grande famiglia napoletana che l’aveva accolto a braccia aperte. La Napoli emarginata e offesa dal resto d’Italia, venne inondata dalla luce di questo semplice ragazzo del sud di Buenos Aires. “El pibe de oro” fu in grado di portare la squadra napoletana, dal 1987 al 1990, a vincere due scudetti, una Coppa Uefa, una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana.
L’amico Pino Daniele in “Tango della buena suerte”, cantava:
Lui è un mago con il pallone, io l’ho visto alzarsi da terra e tirare in porta. Soffia il vento d’Argentina davanti agli occhi spalancati e pieni di grande speranza
Massimo Troisi
Con quella gentilezza, semplicità e umiltà che lo contraddistinguevano, Massimo Troisi, nella sua breve vita, è stato in grado di farsi apprezzare e amare non solo dalla sua Napoli, ma anche dal resto d’Italia e dal mondo intero.
Così come quella di Maradona, anche la vita di Massimo Troisi non è stata facile. Segnata sin dall’infanzia dalla malattia, l’attore aveva sviluppato gravi conseguenze cardiache a seguito di una febbre reumatica. Seppur non perfetto, il cuore di Troisi era grande e batteva forte per la sua terra, per le sue persone e per la sua arte. Un’arte che demoliva i luoghi comuni, esaltando però l’identità partenopea. Quella vera identità partenopea visibile in tutto il corso della sua carriera.
Artista poliedrico, Troisi iniziò ad interessarsi molto presto al teatro ed esordì con il gruppo teatrale “I Saraceni“, di cui facevano parte anche Lello Arena e Enzo De Caro. Fu insieme a questi ultimi che nel 1977 fondò il gruppo teatrale “La Smorfia”, con il quale giunse al successo teatrale e poi anche televisivo. Fu proprio durante la trasmissione televisiva Non Stop che Troisi conobbe Pino Daniele; tra i due iniziò un rapporto di profonda stima, rispetto e amicizia, tanto che il cantautore napoletano lavorò alla colonna sonora di alcuni film di Troisi, tra i 1981 e il 1987, “Ricomincio da tre”, “Pensavo fosse amore … invece era un calesse”, “Le vie del Signore sono finite”.
La critica spesso considerò il linguaggio cinematografico “elementare”, ma quello che Troisi reputava fondamentale era il messaggio che i suoi film cercavano di dare. E si può star certi che i suoi messaggi sono giunti sempre al cuore degli spettatori. Con quell’ aria da sognatore, di goffo antieroe ed antiemigrante, esprimeva l’insofferenza e le difficoltà di un’intera generazione.
Roberto Benigni lo ricorda con una toccante poesia, con la quale, in poche parole, riesce ad esprimere l’essenza di un grande come Massimo Troisi.
Con lui ho capito tutta la bellezza
di Napoli, la gente, il suo destino,
e non m’ha mai parlato della pizza,
e non m’ha mai suonato il mandolino.
Pino Daniele
Altro simbolo di quello che può definirsi “rinascimento” napoletano degli anni ‘80, è Pino Daniele. Con la sua musica e quella voce che era un tutt’uno con le melodie, egli riusciva a trasformare in magici suoni i sentimenti, le paure e i sogni di una città e dei suoi abitanti. Il rapporto del cantautore con la sua città natale non è mai stato semplice, così come non è semplice comprendere le mille sfaccettature di Napoli.
Napule è mille culure
Napule è mille paure
Napoli fatta di mille colori, ma anche di mille paure. Così la descrive il cantautore in una delle sue canzoni più celebri, “Napule è”. È un amore tormentato quello con la città di Napoli; una città a due facce, nella quale spesso la bellezza e l’unicità, lasciano il posto alla rassegnazione e all’abbandono.
Appassionato di musica sin da piccolo, iniziò a fare le prime esperienze con piccoli gruppi musicali, come i “New Jet”. Negli anni ‘70 vi fu una vera esplosione di novità nel panorama musicale napoletano, con l’affermazione di nuovi e giovani talenti. Fu proprio in quegli anni che Pino Daniele esordì con il suo primo album “Terra mia”, espressione della voglia di protesta e rivendicazione per la sua terra natia, da sempre martoriata. Raggiunse, poi, la maturità artistica a soli 25 anni, con l’album “Nero a metà”. Jazz, rock, blues e musiche tradizionali napoletane si intrecciano in un mix perfetto di suoni e melodie, un “Neapolitan sound” che abbraccia sonorità squisitamente mediterranee.
Da quel momento in poi il suo successo non restò circoscritto a Napoli o al sud, ma si estese a tutta l’Italia e all’estero. Nel corso degli anni il cantautore napoletano ha collaborato con artisti sia italiani che stranieri. Il suo desiderio era quello di portare avanti una musica che esprimesse vere e proprie denunce sociali, ribellarsi allo status quo e all’arretratezza.
Miti mondiali
Due napoletani e un argentino, Maradona, Massimo Troisi e Pino Daniele hanno scritto la storia di Napoli e del sud. Sin dal primo momento, con le loro azioni, le parole e la musica, sono entrati a far parte del quotidiano e non sono mai stati considerati semplicemente personaggi illustri.
Umilmente e con quella gentilezza e simpatia che li rendeva speciali, hanno saputo conquistare il cuore di milioni di persone.
Ciò che li ha resi grandi e tanto amati, è stato il loro coraggio di non rinnegare mai le proprie origini, soprattutto in un periodo in cui Napoli attraversava una profonda crisi. Ragazzi semplici e dal cuore grande, hanno fatto della propria “napoletanità” il loro punto di forza, dando la possibilità ai napoletani e alla città, di riscattarsi e “rinascere”.
Molto interessante!
Grazie! Sono felice che sia interessante.